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HEIMAT - L'americano (1945-47)

Stasera Fidel proprio non ha voglia di dormire: e' la prima volta che la sigla di HEIMAT non lo stende all'istante, anzi sembra galvanizzarlo piu' del solito. Bisogna che finisca la guerra per vederlo andare nel mondo dei sogni, e comunque in una posizione supina con le zampe dritte verso l'altro che finora non gli era stata usuale.

Tutti noi, invece, restiamo ben svegli -anche Chiara regge insolitamente per almeno due terzi della puntata di stasera. Qualche guest star prevista non si e' poi fatta vedere, e oltre al trio dei fedelissimi (Antonio, Barbara e il sottoscritto -e Francesco, che avendo mancato un paio di volte e' il D'Artagnan della situazione) ci sono Chiara e Flavia.

Cena abbondante di pasta e birra, ampia scelta di dolci nostrani (pasticcini di Chiara, tozzetti e vin santo miei, biscotti al burro di Flavia). Si apre la cassetta numero IV -l'ultima multipla della serie, visto che gli ultimi tre episodi occupano ciascuno una cassetta a se' (il che e' perlomeno curioso visto che, anche se il prossimo dura ben 138 minuti, gli ultimi due starebbero agevolmente su una 180. Misteri del marketing). E si riparte con le fotografie che raccontano nella viva fissita' del loro bianco e nero i venticinque anni che sono passati nelle ultime otto settimane.

La sequenza iniziale e' stavolta particolarmente nutrita e, come gia' qualche episodio fa, ci rivela diverse cose che non abbiamo visto succedere. Per prima cosa, pero' ci fa scoprire dopo tante puntate di mistero (ma forse lo si era capito gia' e a noi era sfuggito il dettaglio) che il narratore invisibile di queste sequenze e' il buon Glasisch, un altro personaggio senza storia, con un labbro strano e segnato a dito dagli altri come se fosse parzialmente minorato. E' bella la ricchezza di questa storia, in cui ti accorgi dopo anni dell'esistenza di qualcuno alla cui presenza eri abituato e che ti sorprendi a ricordare da sempre anche se non ne hai ricordi troppo specifici -cosi' come non ci ricordiamo del battito del nostro cuore o del respiro.

Quanto alle novita' narrative, il marito di Pauline e' disperso in Russia, e anche di Anton non si sa piu' niente; Ernst, suo fratello, l'aviatore, e' stato abbattuto sopra la Francia; il vecchio Mathias, il fabbro ormai quasi cieco marito di Katharina, e' morto anche lui in coincidenza con l'arrivo degli americani (noi sappiamo gia' da qualche puntata che e' morto anche l'attore -che appare da tempo nei titoli di coda con una piccola croce accanto al nome). Un repulisti generale che sembra spazzar via un bel po' di personaggi, quasi a creare una tela pulita su cui cominciare ad affrescare il dopoguerra, la ricostruzione, un ritorno alla vita dopo l'orrore ben rappresentato dal piccolo Hermann che in un camion semidistrutto ma inondato di sole nel mezzo di un rigoglioso campo di grano rinviene il dito mozzato di chissa' quale vittima scomparsa.

La guerra e' quasi finita, ma prima di chiudere -proprio all'inizio dell'episodio- si porta via altri due personaggi di cui impariamo il nome appena in tempo per salutarli. Rudolph e' colui che l'amica di Lucie -Martine- aveva accalappiato e sposato quasi di forza: lo incontriamo all'inizio con qualche pallottola in corpo, stramazzato contro il muro di una casa di citta' bombardata e in fiamme. Accanto a lui Martine che cerca di tenerlo in vita parlando, facendo l'imitazione di Hitler dietro a un apparecchio radiofonico, suonando per lui al pianoforte una canzone di Ilse Werner fino a quando non puo' che constatare che il suo uomo ormai non e' che un ammasso di materiale senza vita. Scendendo distrutta giu' in strada verra' falciata senza motivo da alcuni soldati di passaggio. Intorno, muri diroccati, esplosioni, fiamme, desolazione.

A Schabbach queste cose non succedono. Succede pero' che dalle citta' arrivano in molti, per cercare a qualsiasi prezzo qualcosa da mangiare -c'e' chi ha fatto una fortuna accettando manciate di gioielli in cambio di un paio di sacchi di patate. Tra i tanti, torna anche il caro Pieritz, forse per mangiare ma forse davvero solo per rivedere Maria, Katharina e tutte quelle persone che avevano voluto bene al collega Otto. Peccato che Maria lo allontani, forse incapace di affrontare i ricordi tristi che l'uomo porta con se': ma prima di allontanarsi mormora qualcosa di qualche progetto in cui ripone qualche speranza. Chissa' che, dopo tutto, non ci sia in lui ancora una storia che aspetta di venir fuori.

L'arrivo piu' importante, pero', e' quello anticipato dal titolo dell'episodio che ci annuncia un nuovo ritorno di Paul Simon. Ormai divenuto un pingue e facoltoso yankee, Paul riesce finalmente a rimettere piede nella sua heimat. Arriva con tanto di limousine e autista nero, con i capelli ormai bianchi sotto un grande cappello a tesa larga. Arriva senza l'imbarazzo dello scomparso, entra nella bottega da fabbro di papa' Mathias e si mette a battere sull'incudine cosi' come aveva fatto di ritorno dalla Prima Guerra Mondiale, all'inizio del primo episodio ("Nostalgia di terre lontane (1919-28)"). Dato che stavolta il padre non puo' arrivare, e' Katharina che riconosce il rumore e arriva di corsa, ritrovando il figliol prodigo che torna ricco.

Non tutti sono contenti di questo ritorno. Non lo e' sicuramente Wiegand, che non perdona agli americani di tenere prigioniero il suo figliolo Wilfried. Ma anche Maria, comprensibilmente, e' piu' perplessa che altro e osserva senza parlare quest'uomo che ricompare dal passato come se niente fosse, cercando di capire come comportarsi, cosa provare. Paul organizza una grande festa americana, con bandiere a stelle e strisce e un'orchestra militare che suona Glenn Miller, e pronuncia un discorso di ben ritrovato a tutto il paese -eppure e' impossibile non notare che il locale e' lo stesso in cui Marie e Otto ballarono per la prima volta, anche se lui portava al dito quell'orribile teschio con gli occhi di rubino. Una notte, Paul cerca di rientrare nel letto di Marie dicendo che ha freddo. Ma lei lo tiene lontano. Vent'anni non si possono cancellare cosi', con una scusa qualsiasi. Tanto piu' se non si e' in grado di spiegare i motivi della fuga da un matrimonio, da due figli, da una moglie meravigliosa che da vent'anni si chiede che cosa ci fosse in lei di cosi' sbagliato da mandare un uomo al di la' dall'oceano.

Lucie accoglie Paul con imbarazzanti dichiarazioni di ammirazione. L'orgoglio di aver ospitato in casa -sia pur per quattro ore- i tre gerarchi nazisti non e' affatto diminuito dal fatto che essi si trovino in quel momento a Norimberga per rispondere delle azioni loro e di tutto il paese. Cambia leggermente la sfumatura: ovviamente Lucie non sapeva nulla di tutte quelle atrocita', e grazie tante alla Provvidenza per averli fatti restare cosi' poco, perbacco. Fra tante irritanti risate chiocce a cui nessuno si unisce, pero', una cosa interessante Lucie riesce ad articolarla: la superiorita' degli americani non sta solo nella maggior forza economica, ma soprattutto nella capacita' di spostarsi in giro per il mondo, rimettendo radici dove necessario, senza restare ancorati alla terra dove si e' nati o agli schemi appresi in famiglia. Paul e' il solo che ha saputo gettarsi tutto alle spalle per inventarsi un futuro di ricchezza la' dove era possibile realizzarlo.

Nonostante Lucie, l'unico con cui Paul l'americano riesce a recuperare il rapporto di una volta e' suo fratello Eduard, il cui male ai polmoni si e' improvvisamente aggravato di nuovo costringendolo quasi sempre in casa ma non fiaccandone la mania per immortalare su pellicola frammenti di vita familiare.

Intanto altri ritorni sono imminenti. Anton manda sue notizie: e' vivo e sta tornando a piedi, e la puntata e' scandita di quando in quando da surreali inquadrature in cui lo vediamo camminare da solo con sullo sfondo una sorta di Partenone, una citta' turca o altri sfondi emblematici del paese che sta attraversando in quel momento. Quando arriva a Schabbach, e' chiaro che la guerra ha lasciato qualcosa nel suo cuore e all'inizio ci si preoccupa (si preoccupa soprattutto sua moglie Martha, che nel frattempo gli ha dato un figlio). Scopriremo poi che durante il lungo ritorno Anton ha concepito un piano per applicare la sua passione per la fotografia e ha in mente una fabbrica di lenti. Visionario e sognatore? Uno sguardo alla copertina di uno dei prossimi episodi ci spoilera che nel futuro della serie c'e' una grossa fabbrica di lenti...

Anche Ernest se l'e' cavata, riuscendo a gettarsi col paracadute dal suo aero che precipitava, e anche lui sembra stare tornando, anche se il suo itinerario prevede molte deviazioni insolite. La sua ragazza arriva a Schabbach per aspettarlo e si installa a casa Simon sotto lo sguardo sempre piu' perplesso di Marie. Ernest pero' arriva ai confini del paese con una bionda vistosa, e decide di non entrare, chissa' perche'. Meglio andare altrove, dove non c'e' nessuno che si ricorda del suo volto, come un Mattia Pascal che cerchi di mettere in atto il piano dopo aver dato sue notizie. Mah. In un locale notturno, gli capitera' pero' di incontrare e evitare suo zio Eduard in compagnia uno sconosciuto. Uscendo velocemente prima che lo zio lo riconosca, Ernest si trova per un istante faccia a faccia con il suo accompagnatore e lo guarda negli occhi per un secondo per poi uscire senza rendersi conto di aver appena incontrato, per la prima volta in vent'anni, suo padre. Un'agnizione clamorosamente mancata, che Reitz -da grandissimo romanziere- ci racconta senza rimarcarla, forse perdendo l'occasione di impressionare lo spettatore disattento ma regalando un piacere doppio a chi non ha perso l'avvenimento.

E' la fine di un'epoca, o meglio l'inizio di una nuova. Lo dice anche il giornale che la vecchia Katherina legge, borbottando che di epoche nuove lei ne ha gia' viste cominciare almeno sei e che, tanto, si ricomincera' a fare debiti. Per lo meno, Ernest a parte, cio' che resta della famiglia e' di nuovo riunito sotto lo stesso tetto. Dopo uno dei tanti pranzi tutti insieme, Katherina avverte Marie che si sente un po' stanca e che va a mettersi sul letto. E sono le sue ultime parole: il suo cuore si ferma, tranquillo, come chi e' arrivato felicemente a destinazione. E' Marie a trovarla, sdraiata come se dormisse, vuota di vita ma anche di stanchezza. Difficile pensare a un modo migliore di andarsene, senza farci caso, circondati da persone a cui si vuole bene e che ci vogliono bene, senza un motivo apparente se non quello che tutto quello che si muove prima o poi deve fermarsi.

Un'epoca e' davvero finita, allora. Ne comincia una nuova tutta da inventare, e qualcuno dovra' inventarsela lontano da qui. Alla fine dell'episodio, prima del funerale di sua madre per non perdere l'ultimo aereo in sei settimane, Paul Simon riparte per la sua fabbrica di Detroit. La capofamiglia adesso e' Marie. Rimasta ormai in prima linea, nella trincea della vita.

103' (8-continua)

La risposta di Antonio

1/11 Nostalgia di terre lontane (1919-28) - 119'
2/11 Il centro del mondo (1929-33) - 89'
3/11 Natale come mai fino allora (1935) - 57'
4/11 Via delle alture del Reich (1938) - 58'
5/11 Scappato via e ritornato (1938-39) - 57'
6/11 Fronte interno (1943) - 57'
7/11 L'amore dei soldati (1944) - 58'
8/11 L'americano (1945-47) - 103'
9/11 Hermannchen (1955-56) - 138'
10/11 Gli anni ruggenti (1967-69) - 82'
11/11 La festa dei vivi e dei morti (1982) - 82'

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Tutti i testi © Alberto Farina