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LETTERE DA MANHATTAN - 4/Il giorno del ricordo

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Date: Sat, 15 Sep 2001 07:15:13 +0200
Subject: [Berto] Il giorno del ricordo

Dopo tre giorni di sole spettacolare, il tempo sembra essersi adeguato all'umore della citta' e di tutta la nazione: e' da stanotte che su New York e su Washington diluvia quasi senza sosta, quasi che anche il cielo volesse partecipare a quello che e' stato dichiarato giorno di lutto nazionale. Le TV sono state per gran parte della giornata sintonizzate sulla Messa cantata tenuta a Washington alla presenza del presidente Bush, dell'ex presidente suo padre, e di tutti gli altri ex presidenti salvo Ronald Reagan, ormai perso nelle nebbie dell'Alzheimer. La celebrazione ha raggiunto il suo culmine con un coro generale di "Glory, glory, Halleluiah" in cui i volti dell'America che comanda si alternavano con immagini drammatiche dello spacco nel muro del Pentagono, delle rovine annerite del World Trade Center, delle operazioni di salvataggio che ieri hanno tirato fuori dalle macerie un piccolo gruppetto di pompieri ma che costringono anche ad aggiornare continuamente verso l'alto il conto di quelli che non ce l'hanno fatta -un montaggio in diretta che pero' scuote nel profondo senza suscitare sospetti di retorica nazionalista, come se l'America avesse nei suoi geni il potere di trasformare in cinema tutto cio' che tocca.

Anche le frasi che si sentono dire in giro dalla gente, o dagli intervistati in televisione, sembrano scritte da uno sceneggiatore. Un esponente della comunita' ebraica dichiara: "We sing together or we sink together" (o si canta insieme o insieme si va a fondo). Probabilmente sta pensando agli episodi di razzismo che purtroppo non cessano di verificarsi e che fanno pensare davvero a un brutto film. Una collega di mia cugina, di origine coreana, ha visto un gruppo che picchiava un arabo per la strada, e si e' sentita subito intimare di "tornarsene in Giappone". La sorte degli araboamericani non sara' facilitata dal fatto che la televisione abbia divulgato i nomi di alcuni dei presunti attentatori, tutti quanti di origine mediorientale.

Ma intanto la citta', seguendo i consigli del sindaco Giuliani, si e' risvegliata e ha ripreso ritmi analoghi a quelli normali. Le strade -quelle che non sono presidiate dalla polizia- sono di nuovo piene di un traffico reso ancora piu' difficile dai continui allarmi dovuti a telefonate minatorie. Soltanto ieri sono state annunciate piu' di novanta bombe e anche se si e' trattato sempre di falsi allarmi e' chiaro che si e' costretti a prenderli tutti molto ma molto sul serio. Qualche aeroporto ha provato a riaprire, ma subito dopo ha dovuto chiudere di nuovo per attentati veri o presunti. Anche oggi il centralino della British dice di non contare sui voli in uscita dagli Stati Uniti: qualche volo per l'Europa forse partira' dal Canada (Toronto o Montreal), ma bisogna vedere chi se la sente di partire anche da quella destinazione ora che tutti sono consapevoli che e' come salire su un ariete imbottito di carburante esplosivo.

Broadway ha ufficialmente riacceso le insegne, e anche i teatrini off Broadway non sono stati da meno, anche se non tutti gli spettatori sono gia' in vena di tornare a divertirsi. Ieri sera, alla ripresa del fortunato spettacolo off "Bat Boy - the Musical" la sala era per due terzi vuota nonostante la serata fosse esauritissima da circa un mese. Non lontano in spirito dal celebrato "Little Shop of Horrors", lo spettacolo e' basato su una serie di articoli sensazionalistici pubblicati dal settimanale cult "Weekly World News", un tabloid specializzato in notizie inventate di sana pianta (il sito e' www.weeklyworldnews.com, ma occhio che vi apre subito tre o quattro finestre extra strapiene di pubblicita') e si distingue per un tipo di umorismo estremo e sicuramente non per tutti i palati -vacche decapitate, topi spremuti come limoni fino a una feroce presa in giro di "The Lion King" in cui decine di peluche si abbandonano a un'orgia interbestiale. Ma ovviamente e' per questo che lo si va a vedere e la defezione di una parte cosi' grande della platea non puo' lasciare indifferenti. Alla fine della rappresentazione, quindi, l'intera compagnia accetta solo un primo giro di applausi: poi uno degli attori prende la parola e ringrazia chi e' venuto di avere, con le sue risate, contribuito a sollevare lo spirito di tutto il cast, auspicando che lo spettacolo sia riuscito a sua volta a distrarre gli spettatori per un paio d'ore. Si finisce con l'invito a tutta la sala di alzarsi in piedi per cantare insieme "God Bless America". Una scelta curiosa, visto che l'inno americano sarebbe "The Star Spangled Banner", ma forse e' giusto che in un teatro si preferisca una canzone tratta da un musical di Irving Berlin.

Tornando a casa fra poliziotti sempre piu' onnipresenti e strade chiuse al traffico e talvolta anche ai pedoni, un barbone nero ci chiede un'offerta. "Per gli Stati Uniti d'America", dice senza la minima esitazione, e John -pur versandogli l'obolo richiesto- prega di non venire a raccontargli balle del genere. Il tipo, prontissimo, ribatte: "OK, so how about it's for the United Negro Pizza Fun"? Ci si allontana con una sana risata.

Intanto la giornata dedicata alla preghiera si avvia alla conclusione. La pioggia che da ore batteva impietosa sui soccorritori, ha smesso verso il tardo pomeriggio, aprendo la strada a una serata limpida e finalmente ripulita dall'atmosfera sudaticcia della tarda estate di New York. Ancora una volta e' il tempo che avverte la citta' che si volta un'altra pagina. L'aria adesso e' fresca, quasi croccante, e mentre il cielo comincia ad arrossarsi si cominciano a vedere per la strada persone che girano con una candela accesa. Il passaparola ha fatto il giro dell'America via Internet, e molti abitanti di Manhattan si riversano nelle strade con decine di candele. Ci sono i piccoli ceri da cimitero nel cilindretto di alluminio e le candele da salotto a forma di tortiglione, le candeline da chiesa che bruciano veloci e le massicce mangiafumo capaci di restare accese per ore e ore. Molte sono dotate di un bicchiere trasparente che le protegge dal vento e ne amplifica la luce, altre hanno soltanto un pezzetto di carta forata che serve a impedire alla cera di gocciolare addosso a chi le porta. Si aggregano agli angoli della strada, svolazzano nelle prime ombre della sera che cadono sulla citta' come nei fumetti di Nick Carter, solcano intrepide il buio accecante delle zone non illuminate del Central Park. Davanti al Metropolitan Museum se ne sono radunate un paio di centinaia. Duecento persone che probabilmente si incontrano per la prima volta e stanno cantando con voce sicura canzoni che sanno di torta di mele, di Norman Rockwell, di stelle e di strisce. Di stelle e strisce e' vestita una bambina che balla come un piccolo cigno, e le bandierine dell'Unione sono quasi tante quante le candele. Gia' ieri, in un servizio televisivo, era stato intervistato un signore che produce bandiere americane e che ne sta vendendo piu' di venticinquemila ogni giorno -il patriottismo e' anche un bell'affare, ma nessuno ha la mala creanza di farlo notare e forse anche questo e' un esempio perfetto di quanto possa essere forte, soprattutto in questo momento, lo spirito di appartenenza a una nazione orgogliosa dei suoi colori e delle sue tradizioni. Sulla strada davanti al museo passa una macchina della polizia che, con l'altoparlante, abbaia: "God Bless America, folks!" e viene salutato da applausi e sbandieramenti.

Proseguendo verso Union Square, le candele aumentano -senza moltiplicarsi come ci si potrebbe aspettare: si tratta comunque di una sorta di veglia e nessuno eccede. Un gruppo di ragazzi con gli occhi a mandorla mi vede passare e mi offre una candelina rossa. Portarla dall'altra parte del Central Park senza farla spegnere, nonostante il vento che comincia ad alzarsi, sembra all'improvviso il minimo che si possa fare, ma arrivando a Columbus Square e' chiaro che il piccolo cero ha i minuti contati. Lo lascio quindi su uno dei tanti altarini improvvisati davanti a qualsiasi statua che si possa trovare in giro. Vedere qualcuno che prega davanti a Cristoforo Colombo puo' sembrare sulla carta una cosa strana, ma dopo tutto una candela puo' anche essere solo una candela, senza stare a voler scomodare simboli o religioni piu' o meno esotiche o personalizzato. Il dolore e' comunque il dolore di tutti.

Torno a casa passando davanti al Lincoln Center. Davanti all'Opera di New York anche la fontana circolare al centro della piazza e' diventata un gigantesco candeliere attorno a cui la gente canta, si abbraccia, perde in silenzio lo sguardo in centinaia di fiammelle crepitanti nel vento. Lungo la strada del ritorno la gente sembra quasi piu' allegra, gia' proiettata in un weekend di cui molti sentono il bisogno e sono tanti ad affollare i ristoranti e i caffe', a scherzare con gli amici. Poi pero' quando capita di sentire qualche parola si nota che in pratica non esiste conversazione in cui non venga menzionato il World Trade Center. L'assenza delle due torri e' di quelle che e' impossibile ignorare: anche ignorando le copertine dei settimanali, cartoline e souvenir ormai obsoleti continuano a rievocare i giganti scomparsi, ed accettare il fatto che non esistano piu' e' difficile come quando sparisce una persona cara, che sembra sempre di risentire o di vedere con la coda dell'occhio. Mentre la citta' finalmente tira un poco il fiato, nella parte sud di Manhattan si continua a scavare. Appoggiate lungo i marciapiedi, allineate davanti ai portoni, assiepate sotto un albero, accanto a un distributore di giornali, davanti a una caserma dei pompieri candele di ogni forma concludono da sole la giornata della tristezza. Qualcuna si e' gia' consumata fino in fondo, qualche altra si e' spenta a causa del vento, ma la maggior parte continua a bruciare nella notte, continua a far luce, continua a sanguinare sull'asfalto piccoli rivoli di cera fusa color bianco, rosso e blu.

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Tutti i testi © Alberto Farina