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Al museo Poldi Pezzoli
(l'Orologio - febbraio 2003)

Ce la facciamo, una gitarella al museo Poldi Pezzoli? Se siete a Milano potete andarci fisicamente, com'è ovvio: la sede è in via Manzoni 12, e ci si arriva con le linee 1 o 3 della metropolitana, con gli autobus 94 o 61, coi tram 1 o 2 (se proprio volete andarci in macchina, affari vostri, ma in via S. Pietro all'Orto trovate un parcheggio a pagamento). Se però, come chi scrive, non vi trovate nei paraggi, il sito http://www.museopoldipezzoli.it/ è una valida alternativa all'ignoranza.

Basato su un progetto originario dell'Istituto Europeo di Design sviluppato in seguito da Beatrice De Luca (della fondazione IBM Italia), e Andrea Di Lorenzo e Lavinia Galli (dello stesso Museo), il sito è stato realizzato dalla Jargon (http://www.jargon.it) con un uso una volta tanto non intrusivo di Flash. Nella homepage, la silhouette che fa da logo al Museo si illumina lentamente rivelandoci l'eleganza altera del "Ritratto di dama" del Pollaiolo e annunciando fin d'ora un ambiente elegante e semplice da esplorare: è l'inizio di una visita che può durare abbastanza a lungo da far venire i sudori freddi a chi paga la connessione internet un tanto al minuto. Sul lato sinistro della finestra è possibile iniziare dalla "Storia" del Museo imparando qualcosa su Gian Giacomo Poldi Pezzoli, che con l'amore del collezionista ne mise insieme i pezzi creando nel suo appartamento personale una serie di sale ispirate ai diversi stili del passato (barocco, medioevo, primo rinascimento, rococò). Ogni ambiente accoglieva oggetti dell'epoca corrispondente, seguendo il godimento personale del collezionista che lavorò alla messa a punto dal 1850 fino al 1879, anno della sua scomparsa. Due anni dopo, in occasione dell'Esposizione Nazionale di Milano, la casa venne aperta al pubblico attraendo migliaia di visitatori: e da quel momento, ci spiega il sito, è divenuta "modello di riferimento per la costituzione di altri grandi case-museo di collezionisti, come quelle dell'americana Isabella Stewart Gardner, del vercellese Antonio Borgogna o dei francesi Nelly Jacquemart e Edouard André".

Il piacere della visita sta anche nella scoperta dei vari sottoscala. Grazie all'utilizzo dei software IBM HotMedia, Ipix e Pixaround, è possibile visitare alcune sale attraverso panoramiche a 360ƒ pur restando comodamente in casa o in ufficio, e la mappa animata del museo permette di non perdere l'orientamento e anzi di familiarizzarsi con il luogo visitandolo col privilegio dell'invisibilità. Quel che resta ben visibile, almeno in parte, sono le collezioni, a cui si può accedere cliccando nel solito menu di sinistra su "Il Museo" e subito dopo (prevedibilmente: ma in tanti siti questa semplicità non si può dare per scontata) su "Le collezioni". Ed è proprio qui che si voleva accompagnarvi fin dall'inizio: nella seconda fila di icone (ciascuna delle quali apre le porte sui vetri, le pitture, le armi -autentica passione personale di Gian Giacomo - e l'oreficeria) lo sguardo cade inevitabilmente sulla collezione orologiera.

Qui ci perdiamo un po' per strada il benemerito fondatore, che in collezione aveva solo qualche pendola (e un bellissimo orologio con automi che rappresenta il carro di Diana trainato da due pantere: grazie al meccanismo, le ruote del carro girano, le due pantere si alzano e si abbassano simulando i balzi di una corsa e ruotando le teste. Si muovono anche gli occhi della Dea e la testa di una scimmietta sistemata sul retro). Il nucleo della collezione risale infatti al 1973, e a una generosa donazione di Bruno Falck: centoventinove orologi meccanici (dal XVI al XIX secolo), alcuni orologi solari e una sfera armillare. Nel 1978 la raccolta si arricchisce di duecento orologi solari di Piero Portaluppi (1888-1967), un trionfo per gli amanti della gnomonica (che, a proposito, non dovrebbero perdersi al cinema la costruzione della meridiana descritta nel recente film "Gli astronomi"). Sul sito le immagini abbondano, ma è facile che servano solo a stuzzicare l'appetito. Tutto sommato, Milano non è poi così irraggiungibile.

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Tutti i testi © Alberto Farina