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INTERVISTA CON CORRADO FARINA

1)
Corrado Farina e Fernando Pessoa

Ho contratto la malattia del cinema in giovanissima età, frequentando sale cinematografiche in cui evidentemente era presente il terribile virus della cinefilia. Aggravandosi il mio stato, ho cominciato a scrivere di cinema, a gestire il Centro Universitario Cinematografico di Torino, a realizzare film di fiction a passo ridotto (8mm) insieme a un gruppo di amici. Tra una cosa e l'altra, davo esami universitari di cui non mi importava nulla, fino a che il conseguimento di una laurea in giurisprudenza non mi costrinse a scegliere una qualche attività professionale. La cosa che trovai di più vicino al cinema e più lontano dalla giurisprudenza fu un lavoro allo Studio Testa, una grande agenzia di pubblicità, dove in cinque anni diressi un mezzo migliaio di "caroselli" (gli spot pubblicitari di allora).

2)

Quando realizzai che la maggior parte dei pubblicitari erano malati di una malattia molto peggiore della mia (nota come "delirio di onnipotenza"), venni a Roma, che essendo l'unica città in Italia in cui si fa cinema è anche l'unica in cui si possa sperare di curare la malattia del cinema. Qui, dopo alcune aiuto-regie, ho realizzato i miei unici due film a lungometraggio. Se poi non ne ho fatti altri è stato solo perchè i produttori si interessarono molto più all'esito commerciale dei miei film (che fu obiettivamente disastroso) che non a quello "artistico" (tra virgolette). Fui costretto perciò a dedicarmi quasi esclusivamente ai documentari e ai servizi televisivi.

3)

Ne consegue che io non mi considero un documentarista prestato alla fiction, ma un regista di fiction prestato - per quasi trent'anni - al documentarismo. La prova di questo sta nel fatto che ogni volta che la cosa è stata possibile ho fatto ricorso, anche nella mia attività di documentarista, agli attori e ai codici strutturali propri della fiction.

4)

L'idea di "Hanno cambiato faccia" (i puntini di sospensione prima del titolo non esistono, o meglio sono un'imposizione del distributore) nasce dall'incontro fra il mio amore per il cinema gotico o "dell'orrore" e il clima politico che si respirava in Italia e in Europa negli anni successivi al 1968. Erano gli anni in cui si contestava in blocco la cultura occidentale, si scendeva in piazza e si leggeva Herbert Marcuse; e penso che sia stata proprio una frase di Marcuse ("Il terrore oggi si chiama tecnologia") a suggerirmi l'equazione "potere = vampiro" che sta alla base del film.

5)

Adolfo Celi era una persona deliziosa e un grande professionista. Il suo personaggio (unitamente a quello di Geraldine Hooper, che interpretò la parte di Corinna, la sua segretaria) resta fra le cose migliori di un film che oggi mi pare tremendamente invecchiato, come del resto lo sono la maggior parte dei film di quel periodo così particolare.

6)

L'idea di trarre un film da una storia a fumetti nacque da un altro dei miei grandi amori adolescenziali, che fu appunto quello per i comics. Come critico e come spettatore, ero rimasto costantemente deluso dai risultati delle trasposizioni cinematografiche dei personaggi dei comics, e mi sembrò naturale provavarmici a mia volta (anche se poi non considero la mia prova come particolarmente riuscita). Quanto alla scelta dei fumetti di Crepax, fu dettata dal fatto che ero letteralmente affascinato dalle sue storie, che proprio in quel periodo stavano ridisegnando tutta la mappa del fumetto mondiale. A Valentina avevo già dedicato una monografia, alcuni articoli e un cortometraggio, e "Baba Yaga" non fu che il logico "climax" di un rapporto d'amore con una delle più affascinanti eroine di carta della storia dei comics.

7)

Con Guido Crepax ero allora e sono tuttora in ottimi rapporti, anche se ci si vede meno di un tempo. L'incontro fu cercato da me verso la fine degli anni sessanta, proprio sulla base dell'entusiasmo che le sue storie mi ispiravano. Comunque, lui non intervenne minimamente nella realizzazione di "Baba Yaga". Si limitò a cedere i diritti, a venirmi a trovare sul set e a scrivermi, a posteriori, una lettera di opinioni, positive e negative, sul film: opinioni che in gran parte mi sento di poter condividere.

8)

Con Gigi Montefiori il rapporto rimase occasionale. Egli era specializzato in film d'azione e in "western all'italiana" e, nonostante ci sforzassimo entrambi di evitarlo, portò nel suo personaggio una componente che non c'entrava molto con il mondo rarefatto e intellettuale di Crepax.

9)

I cast dei film molto spesso sono il frutto di fattori occasionali, di esigenze di mercato e di compromessi fra regista e produttore. Per il personaggio di Baba Yaga io avrei voluto Ingrid Thulin o Ornella Vanoni. Alla fine si era optato invece per Anne Heywood, la quale però, dopo avere accettato, si tirò indietro all'ultimissimo momento, dando prova di una grande scorrettezza. Carroll Baker non c'entrava molto con la Baba Yaga di Crepax, ma finì per essere l'attrice più adatta fra tutte quelle al momento disponibili; e per fortuna che la sua professionalità ha surrogato almeno in parte alla mancanza di un aspetto adeguato.

10)

Mario Bava fu in effetti uno dei miei registi favoriti, almeno per quanto concerne il territorio dell'"horror". Devo dire che amo di più i suoi primi film, come "La maschera del demonio" o "La ragazza che sapeva troppo" (film che tra l'altro erano realizzati con mezzi abbastanza modesti) che non le grandi produzioni tipo "Diabolik" (per la quale fui probabilmente il primo reponsabile, visto che all'epoca scrivevo delle sceneggiature per le sorelle Giussani; che esse mi chiesero quale fosse, secondo me, il regista più adatto a dirigere il film su Diabolik di cui si cominciava a parlare; e che io feci per l'appunto il nome di Mario Bava).

Conobbi Bava quando venni a Roma, nel 1969. Girava un poiziesco da quattro soldi e mi sembrò una persona stanca e delusa, come spesso il mondo dello spettacolo fa sì che diventino le persone più in gamba.

10 bis - 13bis)

"Baba Yaga" fu in effetti manomesso dal produttore, che ne tagliò una ventina di minuti, intervenendo direttamente sul negativo originale; ma la cosa più grave è che questo intervento fu compiuto senza avvertirmi, a copia finita e approvata, e senza neppure farlo precedere da minacce o avvertimenti di sorta. Come a dire: la negazione totale e ottusa di quasiasi tipo di diritto d'autore. Dopo la mia reazione, ampiamente ripresa dai giornali, mi fu rimesso in mano il negativo manomesso perchè lo rimettessi a posto, cosa che peraltro in alcuni casi era materialmente impossibile. Preferii quindi, d'accordo con il montatore Giulio Berruti, rifare un nuovo montaggio, reinserendo alcune scene ed eliminandone altre. Devo dire che i venti minuti tolti da questa terza edizione non avrebbero modificato più che tanto il risultato finale del film: poichè furono eliminate alcune scene che, ripensandoci oggi, erano sì "politicizzate" (se pur nella chiave intellettuale e "radical chic" di Crepax) ma tutto sommato inessenziali rispetto alla trama.
Che l'intervento del produttore nascondesse un certo tipo di censura "politica" non mi sentirei proprio di affermarlo; mentre è vero che la censura amministrativa impose il taglio di alcuni secondi di nudo integrale di Carroll Baker e di Isabelle de Funès, che interpretava la parte di Valentina. Eravamo nella fase della nostra cultura sessuofobica in cui le tette potevano già passare ma i peli pubici no. Come dire: stavamo un po' meglio, ma non eravamo ancora guariti.

13-12)

Non è mai esistita una versione di "Baba Yaga" da 110-120 minuti. Il montaggio originale durava circa 100, e quello finale circa 80 minuti. Suppongo che la versione "Redemption" sia quest'ultima, perchè per quanto ne so è l'unica che è stata commercializzata.

14-15)

Negli ultimi anni, la mia sopravvivenza, sia sul piano economico che su quello intellettuale, è legata soprattutto alla realizzazione di programmi composti in tutto o in parte da materiale di repertorio. Considero il cosiddetto" film di montaggio" un'esperienza molto stimolante, e trovo bellissimo utilizzare pezzi di vecchi film a complemento (se non addirittura a struttura portante) di discorsi di vario genere. Faccio un solo esempio fra i tanti: un cortometraggio intitolato "Cento di questi anni", presentato nel 1994 al Festival di Venezia, dove ha ottenuto un grande successo. In esso ho filmato Vittorio Gassman che racconta la storia del cinema italiano, integrando però le mie riprese non solo con sequenze di film legati al discorso ma con "piani d'ascolto" estratti a loro volta da tantissimi film vecchi e nuovi: in modo tale da dare l'impressione che Gassmann stia parlando a una platea composta da tutti i più importanti attori del cinema di ogni tempo e paese, da Charlie Chaplin a Greta Garbo, da Humphrey Bogart a Marilyn Monroe, da Kevin Costner a Julia Roberts, da Gene Kelly a Orson Welles.

16)

Come ho già detto prima, se non ho più realizzato dei film a lungometraggio è soltanto perchè non sono riuscito a farlo, a causa dell'insuccesso commerciale dei primi due. Non sono mancati i progetti, costantemente rifiutati dai produttori con motivazioni varie che generalmente incominciavano con la parola "troppo": "troppo intellettuale", "troppo sofisticato", "troppo difficile", e qualchevolta anche "troppo fantastico". Sì, perchè il genere fantastico non è affatto ben visto dai produttori italiani, che prediligono storie più solari e mediterranee. La maggior parte dei miei progetti, invece, erano parenti più o meno stretti del genere "fantastico", che io ho sempre amato, sia nella versione "bassa" del film dell'orrore, che nella versione "media" dell'interscamlbio fra realtà e fantasia, che nella versione "alta" della metafora più o meno futuribile dell'esistenza umana. Alcuni esempi? "Il prezzo del pericolo", da un racconto di Robert Sheckley; "La morte di Megalopoli", da un romanzo di Roberto Vacca; "Storia di sesso e di fumetto", una commedia erotica scritta da me sulla falsariga di "Le belle della notte" e di "Sogni proibiti".

Il progetto che più si è avvicinato alla realizzazione, una decina di anni fa, è stato "Un posto al buio": era tratto da un mio romanzo, pubblicato nel 1994, e doveva essere una variazione moderna in chiave "noir" de "Il fantasma dell'Opera" di Leroux. Doveva essere prodotto da Franco Cristaldi, che personalmente considero come l'ultimo dei grandi produttori del cinema italiano, ma fu bloccato, all'ultimo minuto, dalle vicissitudini del "Nuovo Cinema Paradiso" di Tornatore.

Conservo ancora la lettera di Cristaldi in cui lui, con grande rincrescimento, si dichiarava impossibilitato a portare avanti il nostro progetto. In questa lettera c'è una frase che posso fare mia, mettendola a conclusione di queste quattro chiacchiere: "...Se potessi disporre di tutti i fiori che non colsi, ne avrei abbastanza per riempire il palcoscenico del Festival di Sanremo".

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Tutti i testi © Alberto Farina