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INTERVISTA CON CHRIS COLUMBUS

A due anni da Mamma, ho perso l'aereo, Macaulay Culkin è diventato un autentico divo. Che cosa è cambiato nei vostri rapporti?

Non molto. Il primo film è stato molto interessante perché io e Macaulay siamo diventati molto amici: nonostante io sia abbastanza più vecchio di lui -io ho trentaquattro anni- si è instaurato un rapporto molto stretto, direi fraterno. Una volta che c'è amicizia non fa molta differenza se l'amico diventa una star o meno; si passa sopra tutto il resto, i media, i soldi, i privilegi... Abbiamo mantenuto lo stesso rapporto su questo secondo film e ci siamo divertiti moltissimo. Per me non è cambiato nulla salvo che Macaulay, avendo due anni di più, ha imparato a concentrarsi meglio, memorizza più facilmente le battute e, in poche parole, è diventato un attore migliore. Il che mi aiuta molto.

Sei stato sorpreso dall'incredibile ed improvvisa popolarità di Mack, soprattutto negli Stati Uniti?

Credo che se la meriti tutta. Ormai Mack è una star non meno di Tom Cruise, Kevin Costner e Jack Nicholson per cui merita sicuramente le somme che guadagna. Il fatto è che la sua sola presenza può "aprire" un film. Per me Mamma, ho perso l'aereo senza Mack non potrebbe mai essere la stessa cosa: lui è parte del processo che ha fatto il successo del primo film. Ci sono altri ingredienti, ma lui è uno degli elementi chiave. Naturalmente sulle spalle mie e di John c'è la responsabilità di mantenere alta la qualità dei film perché la gente continui ad andare a vederli.

Un altro elemento molto importante è certamente la musica di John Williams. Come avete lavorato?

Se guardi la lista dei dieci campioni d'incasso di tutti i tempi, vedrai che John Williams ha composto la colonna sonora di sette di essi. La sua capacità di scrivere musiche incredibili è fondamentale, tanto che bisogna considerarlo come uno dei personaggi, ed uno dei più importanti. Collaboriamo, naturalmente, sul modo di impostare il lavoro: ma la sua musica non ha quasi mai bisogno di correzioni. E' riuscito a comporre una colonna sonora magica ed infantile che per il risultato finale è assolutamente determinante.

Tu hai esordito come sceneggiatore. Come ti sei comportato di fronte ad una sceneggiatura scritta da John Hughes?

John mi dà una libertà quasi assoluta nei confronti della sua sceneggiatura, almeno finché mi mantengo nei binari e nel ritmo che lui ha elaborato. A volte può capitare che sul set un certo dialogo non funzioni bene come sembrava sulla carta, e lui mi dà la possibilità di cambiarlo. E' molto importante avere questa libertà, ed è per questo che abbiamo già fatto tre film insieme. Per esempio abbiamo rifatto il dialogo della scena in cui Mack [Culkin] si fa registrare nell'albergo; nella sceneggiatura la scena finiva quando lui dice: Qualche volta mi caccio nei guai. Abbiamo aggiunto la battuta: Capita a noi tutti!, che dà alla scena una conclusione più netta. Sono piccole cose che si possono notare solo girando. La scena in cui Catherine O'Hara parla col poliziotto e dice pressappoco: Kevin è tanto più forte e coraggioso di me. Io sarei subito travolta da un'auto, ma non Kevin. Si merita di stare con la sua famiglia intorno all'albero di Natale. in sceneggiatura era completamente diversa, ma lei stessa ci ha suggerito questa versione più emozionale. John è un produttore molto aperto: desidera solo il meglio per il film.

Anche il tuo primo film, Tutto quella notte, non era scritto da te Il discorso della libertà valeva anche in quel caso?

In quel caso sono intervenuto molto ampiamente sulla sceneggiatura. Ma, vedi, il grosso vantaggio di lavorare su storie di altri è che riesci a vedere tutto con un senso critico che non hai quando ne sei l'autore; vedi subito quali sono i punti che non funzionano. Mi dà un'enorme soddisfazione, perché vedo tutto con un occhio più fresco. Del resto, io fin dall'inizio avevo l'intenzione di diventare regista e vedevo la sceneggiatura solo come un mezzo per arrivarci. Poi, naturalmente, l'esperienza come scrittore mi mette in grado di aggiustare un dialogo anche durante le riprese, se vedo che non funziona. Se sapessi soltanto dirigere, non potrei risolvere questi problemi che si presentano continuamente...

So che le tue sceneggiature erano molto grafiche, spesso corredate da schizzi e storyboard. Come sono le sceneggiature di Hughes?

Sono anch'esse molto visive, e tuttavia per alcune sequenze particolari gli storyboard sono indispensabili. Per la scena finale nel parco di Mamma, ho riperso l'aereo ho personalmente disegnato ogni inquadratura per un totale di circa 450. Ne ho fatto un libro alto così che è stato distribuito a tutta la troupe tecnica, in modo che ciascuno sapesse come sarebbe stata girata ogni singola inquadratura. Questo genere di pianificazione ti permette di vedere se la scena funziona prima ancora di girarla: basta leggerla come un fumetto.

In entrambi i film della serie Home alone convivono, mescolate ma riconoscibilissime, almeno tre anime diverse: quella della commedia nevrotica, una violenza da cartone animato e certe atmosfere alla Frank Capra (che viene addirittura citato esplicitamente). Credi che questo rispecchi la somma degli interessi tuoi e di Hughes?

Penso di sì. Frank Capra è sempre stato uno dei miei autori preferiti, ma come si poteva vedere già in Gremlins adoro anche la commedia slapstick, quella delle botte in testa, dei cascatoni, di Tom & Jerry. Il matrimonio con John è estremamente fecondo, anche se diventa difficile ad un certo punto stabilire confini su chi sia effettivamente l'autore di un'idea o di un'atmosfera. Impariamo uno dall'altro, sia nella scrittura che nella regia ed i nostri stili si stanno avvicinando. Dopo aver girato il primo Home alone ho scoperto di aver utilizzato un'inquadratura -delle silhouettes di alberi contro la luna piena- identica ad una usata da John in Io e zio Buck.

Come è nata la vostra collaborazione?

Principalmente, credo, dal fatto che non c'erano molti cineasti che vivessero a Chicago, lontano da Hollywood. Lui mi mandò la sceneggiatura di Bella in rosa, che rifiutai. Poi mi propose un film con Chevy Chase, Christmas Vacation, ma non feci neanche quello per due motivi. Il primo è che con Chase non andavo d'accordo. E poi non ero così convinto che fosse un film di cui sarei andato fiero nel mio futuro di regista. Io ho sempre ammirato i grandi registi, ed ho sempre aspirato a diventare come loro. All'inizio della mia carriera avevo deciso di avere un giorno un corpus di opere ammirevole come quello di certi miei idoli. Non ho per scopo di fare grandi incassi, ma vorrei un giorno poter dire di aver fatto molti buoni film. Christmas Vacation era il terzo film nella serie della National Lampoon's Vacation, che naturalmente non ero stato io a cominciare. Ero sicuro che sarebbe stato il film che avrei sempre rimpianto di aver firmato. Per uscirne mi limitai a girare qualche esterno natalizio a Chicago con la seconda unità, senza farmi pagare. Non volevo proprio diventare il tipo di regista che fa quel genere di film. John capì il mio punto di vista e diventammo amici. E alla fine mi mandò la sceneggiatura di Home Alone.

In entrambi i film della serie, numerosissimi prodotti sono messi in bella vista, in una sorta di occulta promozione. Quale è la tua posizione nei confronti del product placement?

Non vorrei mai reclamizzare un prodotto in un film. Nel secondo film ci sono alcune società delle quali nascondevo continuamente (e volutamente, anche se non dovrei dirlo!) il marchio: quando vedi un personaggio che tiene in mano una lattina di una qualche "Cola", ed il marchio non si vede, è colpa mia. Si capisce comunque quale sia la marca... Il problema è che niente ti estrania di più da un film di quando vedi qualcuno bere da una lattina con su scritto, semplicemente "Birra" o "Aranciata". Il mondo nella realtà è pieno di Coca Cola ed altre marche celebri, quindi credo che sia importante che anche nel film la gente beva, mangi e consumi prodotti veri. Però è importante anche evitare di inserirne solo per scopi commerciali. Certo che il Product Placement è un qualcosa con cui devi abituarti a convivere, perché in cambio ottieni pubblicità gratuita per il film... Però credo che la sua importanza sia essenzialmente che è l'unico modo per mostrare in un film prodotti veri: non potrai mai usare, che so, il dentifricio Colgate senza il permesso della compagnia...

Quali sono i tuoi modelli? Ricordo che anni fa "American Film" pubblicò una tua bella intervista con Billy Wilder...

Era un'intervista che morivo dalla voglia di fare, ed è l'unica che abbia fatto. Billy Wilder è esattamente il tipo di regista che vorrei essere con tutte le mie forze. Poi ci anche sono persone come John Ford, Frank Capra, Howard Hawks: facevano film incredibili sulla gente, film che erano a loro modo sociologici ma che allo stesso tempo erano impeccabili come spettacolo. Tutti i loro film tenevano viva la magia del cinema, quella che, una volta entrato nella sala, ti fa dimenticare tutti i tuoi problemi. Sono pellicole che non mi stanco di vedere e rivedere, per imparare sempre qualcosa di nuovo sul dialogo, sul modo di costruire una scena. Non credo che esistano film migliori di Un uomo tranquillo, Mr. Smith va a Washington, La vita è meravigliosa oppure -Dio!- L'Appartamento di Wilder. Ma quando questi film furono realizzati, i loro registi avevano già almeno una ventina di titoli dietro le spalle; per cui io sono contentissimo e lusingato di queste interviste promozionali per i film della serie Home Alone, che hanno tanto successo al box-office, ma penso di aver ancora molta strada da fare per poter essere soddisfatto. Molti mi suggeriscono di aprire una mia casa di produzione e produrre altri film, come fa John, ma io rispondo sempre No, no, no, no, no! Devo dirigere più film che posso per diventare un regista migliore! E' la cosa più importante: quelle persone si concentravano su un film all'anno e lo facevano al meglio; che avesse successo o meno, ci credevano fino in fondo, quindi passavano al successivo.

Wilder non fa film ormai da dieci anni. Hai mai pensato di lavorare con lui?

Mi piacerebbe moltissimo. Ma noto che c'è una predisposizione negativa di Hollywood contro queste persone, una cosa che cerco di contrastare come posso. Io cerco sempre di trovare le persone che facevano quei grandi film -parlo specialmente degli attori- per usarli di nuovo. In Mamma, ho riperso l'aereo c'è Eddie Bracken, che ha fatto tanti film con Preston Sturges; in Cara mamma, mi sposo c'era Maureen O'Hara, la protagonista di Un uomo tranquillo, che è uno dei miei film preferiti.

Nelle sue dichiarazioni, Wilder lamenta sempre che Hollywood sia ormai governata da affaristi senz'anima, che di cinema capiscono poco o nulla. Che ne pensi?

Alcuni anni fa ero convinto anche io che fosse così. Ma alla 20th Century Fox, dove ho fatto Mamma, ho perso l'aereo, ho trovato al comando un trio incredibile di cineasti: Joe Roth ha diretto alcuni film come regista, e Roger Birnbaum e Tom Jacobson sono produttori. Sono persone che sanno come si fa un film ed affrontano i problemi con lo spirito giusto. E' stato splendido, quasi come lavorare con Spielberg. Speriamo solo che le cose vadano avanti così.

A proposito di Spielberg, come vedi i tre film che hai scritto per lui? Ritieni che le tue sceneggiature siano state rispettate?

Direi che nell'ordine preferisco Piramide di paura - in cui la mia sceneggiatura è stata rispettata quasi pedissequamente-, quindi Gremlins e infine I Goonies. Quest'ultimo è proprio un film che non capisco.

Cosa pensi di Gremlins II ?

Non ne sono un grande fan. Fin dall'inizio sono stato contrario a girare un seguito perché non vi trovavo motivi di interesse. Temevo che si sarebbe trasformato in un Muppet Movie. Il primo film non era solo una satira di Frank Capra ma anche una sorta di favola; come tale poteva esistere come storia unica, quella di questa pacifica cittadina che viene assediata da questi mostri cattivi e deve sconfiggerli. Una volta che trasformi, come hanno fatto nel sequel, la cittadina in un immenso grattacielo da cartone animato a New York, i Gremlins non hanno più nulla di reale su cui spiccare: restano perduti in un mondo irreale come loro stessi. Non c'è più contrasto, non funziona più.

Per Spielberg tu avevi anche scritto la prima stesura di Indiana Jones e l'ultima crociata. Come mai il tuo nome non appare nei titoli?

Avvenne questo: Spielberg e Lucas mi diedero un pacco alto così di appunti che costituiva il primissimo abbozzo della sceneggiatura. C'erano già tutte le idee, battuta per battuta, personaggio per personaggio, scena per scena. Io andai a casa e mi limitai a battere tutto a macchina, come una segretaria, perché ero terrorizzato dall'idea sola di cambiare una virgola scritta da due simili autori. Scrissi una cosa senza vita, ed imparai così una lezione importantissima: una autore può dar vita ad una storia soltanto se si siede davanti ad un foglio bianco e comincia da zero. Mai più cercherò di scrivere storie di altri: non potrei che rovinarle.

Parliamo dei prossimi film. Hai scritto la sceneggiatura del film tratto dal fumetto Little Nemo in Slumberland...

E' una storia interessante... Si tratta di una cosa scritta prima che io cominciassi a dirigere film, nel 1986; preparai una prima versione e la mandai ad una società giapponese che produceva cartoni animati. Questi contattarono gente come Ray Bradbury, Robert Towne e perfino il disegnatore Moebius - Jean Giraud come consulente visuale. Non ne ho saputo più niente fino a sei mesi fa quando mi chiamano e mi dicono che il film è finito! Sono rimasto di sasso... Poi me l'hanno fatto vedere per chiedermi di pubblicizzarlo, ma non ne sono stato troppo entusiasta... mi è parso piatto, privo di interesse e noioso. Ci sono però momenti di grande animazione: i giapponesi sono abili a realizzare sequenze molto eccitanti. Ma al film mancano personaggi interessanti... Direi però che venti/trenta minuti del film riescono a restituire in parte l'atmosfera surreale dei disegni originali di Winsor McCay.

Little Nemo non è più notissimo come personaggio dei fumetti, a meno che si parli di appassionati...

Sono un fanatico di fumetti almeno quanto lo sono di cinema e di rock and roll. Come cineasta ho sempre trovato interessantissimi i fumetti Marvel degli anni '60, da Spiderman ai Fantastici Quattro. Erano estremamente... cinetici, ed è lì che ho imparato a disegnare storyboards. Nei fumetti Marvel si alternano a ritmo forsennato Totali e Piani Ravvicinati, i bordi della vignetta smettono di essere una griglia vincolante e spesso spariscono addirittura. Come regista devo moltissimo a Stan Lee.

Un altro tuo progetto imminente è Ripley's believe it or not. ...Un film ispirato ad un museo di stranezze?

Era anche una rubrica a fumetti, con notizie folli e primati in stile Guinness. Non so se sarò io a dirigerlo, ma ho uno scrittore che ci sta lavorando. E' una storia interessante, su un uomo che lavora per la Ripley's Believe it or not a Chicago, raccogliendo e verificando fatti di stranezze umane. Il mio prossimo film, invece, sarà sicuramente una commedia drammatica in cui Robin Williams è un padre che, nel corso di una causa di divorzio, cerca di mantenere la custodia dei suoi tre figli.

Mi dicevi della tua passione per il rock... Tu hai diretto anche un film su Elvis Presley, Heartbreak Hotel...

Sì, ed era un film di tre ore! Mi costrinsero a tagliarlo molto pesantemente, sotto le due ore, ed anche se mantiene qualcosa dell'eccitazione che ho provato nel realizzarlo resta un film piuttosto strano, frammentato. La storia era mia e nasceva dalla mia fascinazione su ciò che è successo ad Elvis Presley, questo Rocker incredibilmente vitale ed energetico che si è trasformato in un tossicomane disfatto. Ho voluto scrivere questa storia di un ragazzino che ama il rock e vede ciò che succede ad Elvis. Alla fine del film, quando Elvis se ne va dopo aver riscoperto le sue radici, sappiamo che sta andando verso il suo destino di obesità e droga. E' un finale molto tragico e triste, il mio momento favorito nel film.

L'ultima domanda: Chris Columbus (Cristoforo Colombo) è davvero il tuo nome?

Sì, assolutamente anche se molti sembrano credere che non lo sia. Mio padre veniva da una grande famiglia italiana, era di Milano ed ha avuto dodici figli. Aveva anche un sacco di fratelli e sorelle, e suo padre aveva sempre desiderato chiamarne uno Christopher o Christine ma non l'aveva mai fatto. Così mio padre ha esaudito il suo desiderio.

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Tutti i testi © Alberto Farina - Consulenza editoriale: Chiara Strekelj - Creazione sito: Flavia Farina