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INTERVISTA CON ROBERT BENTON

Anche se "Billy Bathgate" è sostanzialmente fedelissimo al romanzo di E.L.Doctorow da cui è tratto , ci sono alcune modifiche piuttosto rilevanti. Tutta la scena finale, per esempio, nel libro è solo una rapida esplosione di violenza, mentre il film ne accentua il pathos. Ci può raccontare i motivi dei cambiamenti più di rilievo?

Io tendo, durante le riprese, a cambiare notevolmente la sceneggiatura. Un giorno sono arrivato sul set, mentre lo stavano costruendo: i muri erano appena stati tirati su. Stavo camminando tra le scenografie ed ho cominciato a sentirmi molto preoccupato. La sceneggiatura, aderendo al finale del romanzo, diceva pressappoco: C'è una sala da bar, entrano dei tizi e fanno fuori la gang a fucilate, e il ragazzo si nasconde appena in tempo. Ma una volta che i muri erano stati alzati, e che la stanza esisteva ormai fisicamente, la cosa non aveva più senso. Non c'era un posto dove il ragazzo potesse veramente nascondersi. E inoltre mi sembrava che se egli fosse stato presente alla sparatoria ma si fosse nascosto, sarebbe sembrato un codardo: dopotutto in quel momento stavano uccidendo la sua famiglia. Il problema era quindi di farlo uscire di lì prima dell'arrivo dei sicari. Ho chiamato Tom [Stoppard] e abbiamo cominciato a lavorare su questo nuovo finale in cui Otto Berman licenzia il ragazzo per salvarlo. Il che naturalmente ci ha obbligato a riscrivere le ultime quindici pagine della sceneggiatura, mentre stavamo girando.

Rispetto al libro ci sono altre due modifiche importanti. Il romanzo è narrato da un Billy cinquantenne che ricorda il tempo in cui aveva quindici anni; è un espediente ingegnoso e molto interessante perché il punto di vista è a volte quello di un adulto, a volte quello di un bambino. Ma in un film non può funzionare: Tom ha completamente rimosso questo elemento, torvandomi perfettamente d'accordo. Infine abbiamo ridotto enormemente le scene con la madre di Billy: come ho detto a Edgar [Doctorow] ritenevo più importante concentrare il film sui suoi punti fondamentali senza disperdersi in diramazioni della trama.

Come il libro, anche il film ha una complessa struttura di flashbacks. Inizia a due terzi della storia, torna indietro, supera il punto di partenza e quindi vi ritorna...

In questo il libro è stato rispettato completamente. Tom Stoppard ha avuto l'idea del passaggio dal "tuffo" di Bruce Willis a quello della ragazza. Ho trovato che fosse una brillante idea, un perfetto esempio di scrittura cinematografica.

Ma non ha temuto che il pubblico, abituato a trame sempre più lineari, rischiasse di confondersi?

Anzi: è proprio solo questo che mi ha spinto a fare questo film. Se lo studio mi avesse proposto di fare Billy Bathgate come volevo, purché adottassi una narrazione tradizionale, avrei sicuramente rifiutato.

Com'è, per un regista-sceneggiatore, dirigere una sceneggiatura scritta da altri? E come è capitato?

Io avevo letto e amato il libro. Ma stavo scrivendo la sceneggiatura per un altro film - che ho poi deciso di non fare più -. Insomma, lo studio mi ha proposto di leggere questa sceneggiatura di Tom, a me è piaciuta ed ho accettato di dirigerla. Non mi sarei mai aspettato di lavorare su materiale di un altro sceneggiatore, ma con Tom sono stato benissimo. L'ho fatto venire in America alla fine delle riprese perché fosse presente durante il montaggio, e credo che i suoi consigli siano stati molto utili.

Negli esterni di "Billy Bathgate" si notano moltissimi poster cinematografici, di film con Fred Astaire o Shirley Temple, o comunque di commedie che si svolgono in ambienti "ricchi"...

Esatto! I poster di Cappello a cilindro nel quartiere poverissimo di Billy servono a dare enfasi alla discrepanza che i personaggi trovano tra ciò che vedono al cinema e la loro vita reale. Quando Billy e Mr. Schultz si trasferiscono nella piccola città di provincia (dove si svolgerà il processo) ho pensato che film come Naughty Marietta o Bright Eyes avrebbero accentuato il disadattamento della gang: sono commedie sofisticate. Ho anche girato una scena in un cinematografo, che alla fine ho tagliato; non era così necessaria. Quando ho firmato il contratto con la Disney è successa una cosa divertente: io ho chiesto di avere il final cut e loro me lo hanno concesso con il patto che il film sarebbe durato meno di due ore e mezza. Io mi sono messo a ridere e gli ho detto di non preoccuparsi: non ho mai fatto un film lungo oltre due ore in tutta la mia vita: ho un'avversione verso i film troppo lunghi e tendo a tagliare. Credo che, se una scena non è necessaria a portare avanti il personaggio o la narrazione, si debba avere il coraggio di toglierla.

In realtà abbiamo scelto quella particolare città anche perché aveva da una parte l'hotel e dall'altra il cinematografo: era possibile filmare la strada principale ed avere un vero senso dello spazio, che naturalmente si perde quando giri un pezzo qua ed un pezzo là e poi lavori di montaggio per ché sembri lo stesso posto.

C'è una scena in cui Dustin Hoffman sta parlando con i suoi collaboratori e, senza interrompere il discorso, riavvita una lampadina la cui luce sta tremolando. E' stata un'idea di sceneggiatura, un'intuizione di regia o una iniziativa dell'attore?

E' stato Dustin! Stavamo per girare la scena e lui ha chiesto: Possiamo svitare un pò la lampadina in modo che traballi? e poi la ha riaggiustata mentre parlava. E' un grande attore: quel gesto sembra una sciocchezza ma aggiunge moltissima umanità al personaggio. A proposito di Dustin, mi hanno chiesto come siano stati i nostri rapporti sul set. Ho sentito dire di dissapori, ma ci tengo a dire che si tratta solo di notizie non vere divulgate forse a scopo scandalistico. Il nostro rapporto è stato ottimo ed estremamente proficuo.

E' vero che Hoffman ha sperimentato diverse protesi facciali per interpretare Dutch Schultz?

Sì. Aveva dei denti falsi, un naso finto ed altre cose, ma alla fine ha deciso di rinunciarvi. Aveva solo una imbottitura intorno al torace per sembrare più pesante, ed ha abbassato la sua voce.

Come è stato scelto Steven Hill per il ruolo-chiave del contabile della banda?

Seguivo il suo lavoro da molto tempo. E' un grandissimo attore che ha lavorato molto in televisione. In Heartburn-Affari di cuore di Mike Nichols ed anche in Vivere in fuga di Sydney Lumet ha avuto occasioni per alcuni veri pezzi di bravura, ma non aveva mai avuto un ruolo importante da un sacco di tempo. Dustin una volta ha detto: Bisogna distinguere tra recitare e comportarsi: non puoi recitare il comportamento. Voglio dire che, ad esempio, se non hai il senso dell'umorismo non potrai mai interpretare credibilmente un personaggio dotato di senso dell'umorismo.

Bene: non puoi recitare lo spessore morale. Il personaggio di Steven doveva avere una incredibile forza morale: è il pilastro del film, quello che educa e salva il ragazzo, il genitore che lo nutre. Steven era la scelta ideale.

Qual è l'elemento che l'ha interessata di più nel romanzo di Doctorow?

Il ragazzo ed i suoi riti di passaggio alla maturità. Nella maggior parte dei miei film si racconta di qualcuno che trova la sua famiglia nel mondo. Famiglia che può essere formata da una donna che ha perso il marito in un bracciante negro ed un cieco [come in Le stagioni del cuore] o che un uomo lasciato dalla moglie può ritrovare nel figlio [in Kramer contro Kramer]. Il senso della famiglia per me è molto importante. Qui ci sono due figure paterne: Dutch Schultz e Otto Berman, due lati opposti dell'essere umano, ed in mezzo c'è la misteriosa Drew Preston.

In "Billy Bathgate" il passaggio alla maturità sembra dovere necessariamente passare attraverso la delusione.

Infatti, ed è per questo che il ruolo di Dutch Schultz doveva essere assegnato ad un divo, come Dustin Hoffman. Al ragazzino il gangster sembra come una stella del cinema, più grande della vita reale; e diventa poi invece una persona comune. Una delle frasi chiave, del libro e del film, è quando Drew dice a Billy che Schultz è "una persona molto ordinaria". Improvvisamente il ragazzo vede crollare la sua scala di valori e scopre che il suo eroe è una persona comunissima anche se si atteggia a gigante. Mentre invece Otto Berman, con la sua aria dimessa e comune, è il vero gigante della situazione.

Un altro elemento che mi ha attratto è l'estrema classicità dei personaggi. Sono personaggi simbolici, archetipi cinematografici: i due gangster una volta soci ma divisi ora dal tradimento, il vecchio-che-la-sa-lunga, la bionda, l'avvocato disonesto. Direi quasi che Billy Bathgate non sia un film sui gangsters, ma sui film di gangsters.

A proposito di film di gangster, cosa è cambiato secondo lei dai tempi di "Gangster Story" di Arthur Penn, che segnò il suo esordio come sceneggiatore?

Beh, era un film molto diverso. Quella era un film di fuorilegge, oggi si potrebbe avvicinarlo a Thelma e Louise: la storia di due persone comuni che in un certo momento si mettono al di fuori della legge e vivono in fuga tentando vanamente di sfuggire ad un destino ormai segnato. Il tema è la paura ed il fascino di vivere fuori dalla legge. I film di gangsters raccontano di persone senza scrupoli, il cui fine è conquistare potere, soldi o sesso. Li vediamo ottenere queste cose per un momento, mantenerne il possesso, e poi perdere tutto e morire. Sono film sul potere.

Comunque, allora il cinema era molto influenzato dalla Nouvelle Vague francese, la quale a sua volta subiva l'influenza del cinema americano e del neorealismo. Gente come Arthur Penn, Bob Rafelson, Robert Altman, Coppola, Bogdanovich, Scorsese, anche Jonathan Demme. Da allora ci sono stati molti altri registi come Spielberg o Zemeckis, molto più americani, più lineari come modo di raccontare. Spielberg è un grande narratore ma i suoi film non riflettono alcuna influenza europea. Mi ricordo un pranzo con lui in cui in cui mi disse: Sto facendo un film tipo "Gli anni in tasca" di Truffaut. E poi ho scoperto che il film era E.T.! Che è un film brillante, ma è tutto meno che europeo! La generazione precedente invece era molto più orientata verso una concezione europea dello stile narrativo.

Lei Truffaut lo conosceva personalmente... Non doveva dirigere lui "Kramer contro Kramer"?

Sì, ma ci conoscevamo da prima. Gangster Story lo scrivemmo proprio per Truffaut ed arrivammo anche a proporglielo. Lui disse che gli piaceva molto ma che siccome stava per iniziare Fahrenheit 451 non poteva occuparsene in quel momento. Ci raggiunse comunque a New York e passammo due giorni a parlare, per preparare un trattamento. In Gangster Story, che poi fu diretto da Arthur Penn, c'è ancora un'intera sequenza completamente sua: ce la dettò, materialmente.

Di quale scena si tratta?

Quella in cui loro sono seduti in macchina, mentre piove, mangiano biscotti e lei legge la Ballata di Bonnie e Clyde, fino a quando ci sono loro due nel campo. Quella è interamente scritta da Francois Truffaut.

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Tutti i testi © Alberto Farina - Consulenza editoriale: Chiara Strekelj - Creazione sito: Flavia Farina